Uri

Contro le angherie dei Ledà

L’importante contributo di Ittiri e Uri alla causa angioyana ha i suoi motivi fondamentali nella disputa che impegnò le due comunità fin dalla metà del XVIII secolo con la famiglia Ledà, titolare dopo aspra controversia del feudo che riuniva i suddetti villaggi. Gravati da un giogo fiscale che i signori del feudo inasprirono compiendo scandalosi abusi, le due comunità ingaggiarono una difficile contesa legale con i Ledà, nei decenni che precedettero l’epoca della Sarda Rivoluzione.

La contesa agguerrita col feudatario divampò in occasione dei primi eventi della Sarda Rivoluzione, complice la disastrosa annata agraria del 1794, che scatenò la prepotenza del feudatario con indiscriminate requisizioni. Ma la tenacia e la costanza di don Vincenzo ricevettero vigore dall’affermazione del partito dei cosiddetti novatori, che aveva in mano l’iniziativa politica della capitale del Regno. Questa per i logudoresi fu il segnale che era possibile condurre forme di lotta radicali.

Gli eventi precipitarono il giorno di Ferragosto del 1795 quando a Ittiri i vassalli assaltarono i magazzini granari del feudatario, respinti prontamente dai dragoni. Il feudatario, avendo capito come i tempi non volgessero assolutamente in suo favore, tentò una soluzione di compromesso cercando un’interlocuzione con don Vincenzo e invitandolo esplicitamente a stemperare le intenzioni bellicose dei vassalli. Ma don Vincenzo, astutamente, soffiò sul fuoco della ribellione e nove giorni dopo gli ittiresi assaltarono il granaio del feudatario, stavolta con successo. La sera, conclusosi l’assalto, gli ittiresi ricevettero la visita degli uresi. Legati da concordia, gli abitanti di Ittiri e Uri si recarono qualche ora più tardi a rovesciare i muri di cinta delle proprietà feudali.

La redenzione dal feudalesimo: lo “strumento d’unione”

Tra i documenti che maggiormente rappresentano l’eco di rivolta si ricorda il cosiddetto “Atto di redenzione” delle due comunità di Ittiri ed Uri, rogato dal notaio Cosimo Serra il 17 marzo 1796. Il documento, scritto in italiano, ribadisce l’eversione legale ed il desiderio di riscattare la propria terra da parte degli abitanti del villaggio. L’atto è sottoscritto dai religiosi, dai “cavalieri e principali” dei villaggi di Ittiri ed Uri. Ma subito dopo la disfatta e la fuga dell’Angioy fu posta in atto una cruenta repressione. L’atto politicamente più significativo attuato dai commissari viceregi fu la revoca forzata di questi atti notarili, giurati dalle comunità logudoresi: le carte vennero strappate dei registri degli archivi governativi e sostituite da ritrattazioni, sotto la minaccia di gravi e pesanti ritorsioni. Tuttavia il vento della rivoluzione non si placò, continuando a contrapporsi in armi ai fattori baronali o ricorrendo alla denunzia legale contro i sempre numerosi abusi.

luogo

Sa Funtana Manna

Nel 1777, la contessa di Ittiri, Stefania Manca Amat, affida la costruzione di una fontana nell’abitato di Uri al muratore sassarese Gavino Pirinu: il compenso è fissato in cinquanta scudi sardi. Il sito che ospita attualmente la fontana fu riadattato per favorire il flusso idrico che sgorgava dalla sorgente naturale.

Il disegno architettonico è molto semplice: la fontana, in marmo, presenta una cornice modanata in alto sorretta da due lesene con capitello a tre fasce. Nella parte inferiore sono presenti tre bocchettoni di scolo con teste antropomorfe di uomini barbuti tutte differenti; l’acqua sorgiva sgorga da elementi decorativi metallici che richiamano l’immagine di pesci fluviali. La posizione dei bocchettoni fu espressamente studiata per agevolare il riempimento delle brocche. A destra della fontana si trova un’altra struttura che serviva da abbeveratoio. Un’ampia vasca alla base è inquadrata da un arco a tutto sesto.

Funtana Manna Uri
Funtana Manna Uri
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Chiesa Nostra Signora della Pazienza

La chiesa di N.S. della Pazienza si trova nel centro storico del paese, in Piazza Vittorio Veneto, chiamata Carrela de Cheia. Viene costruita intorno al XVI Secolo con il nome di S. Maria, e dopo circa due secoli, per ragioni non ancora chiare, prenderà il raro titolo di Nostra Signora della Pazienza. La chiesa è costruita con blocchi di trachite ed è composta da una navata centrale e sei cappelle laterali. Conserva ancora quattro cripte sotterranee utilizzate fino al 1840; il pavimento è ricoperto di lastre in marmo grigio, mentre le pareti sono intonacate e coperte con marmi colorati. Le cappelle laterali sono dedicate alla Madonna di Paulis, alle Anime, al Santo sepolcro e a S. Antonio. Il campanile, di forma ottagonale, ha una copertura a cupola e segni di diversi restauri. La cupola, in origine rivestita in maiolica e con una banderuola d’argento a forma di gallo sulla cima, crollò nel 1917 per una tromba d’aria. Anticamente l’illuminazione della Chiesa avveniva con l’uso di lampade a olio e con una grande lampada centrale in argento sospesa con una catena e sollevata con una carrucola. Un grosso intervento tra il 1948 e il 1950 modificò definitivamente l’aspetto originario dell’edificio.

Nostra Signora della Pazienza Uri
Nostra Signora della Pazienza Uri
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Nostra Signora di Paulis

Nel 1205 il giudice Comita di Torres ordinò la fondazione di un monastero, donò ai monaci cistercensi il villaggio di Paulis, la corte di Save ed i territori di Augusolo ed Hennene. Vennero donati inoltre animali e diversi beni tra cui due barche e numerosi libri. L’abbazia adiacente al monastero venne dedicata alla Madonna di Chiaravalle ed i suoi monaci godevano di grande libertà amministrativa e politica. I religiosi bonificarono la zona favorendo l’attività agropastorale, fino all’abbandono definitivo del monastero avvenuto nel 1420. Le costruzioni andarono in rovina ma la chiesa continuò a funzionare come parrocchia di Paulis e dal 1850 come chiesa campestre della parrocchia di Uri. Dell’intero complesso, oggi in grandissima parte crollato, rimane ben poco. La parte dell’altare, che risulta essere quella conservata meglio dell’intera abbazia, presenta dei disegni che rappresentano San Bernardo di Chiaravalle, fondatore dell’Ordine cistercense e Gonario di Torres. Vennero realizzati nella prima metà del secolo scorso dall’eremita-studioso Pietro Cao che visse sino al 1958 tra i ruderi dell’abbazia e del monastero, effettuando vari restauri.

personaggio storico

Paulis e Su Padre Biancu

Particolare e anomala figura di studioso, appassionato di archeologia, Pietro Cao era solito andare in giro abbigliato come una specie di monaco, paludato di un abito bianco riconducibile ad un ordine religioso di sua invenzione (simile comunque al saio dei cistercensi).

Era un personaggio molto conosciuto negli anni ‘50 dello scorso secolo a Sassari e nei paesi limitrofi, tanto che alcuni celebri pittori del periodo, come Costantino Spada o Salvatore Fara, lo raffigurano intento nelle sue dotte dissertazioni in mezzo a gruppi di beoni o gente del popolo che spesso lo dileggia o non lo ascolta.

Conosciuto dagli abitanti di Uri con l’appellativo de “Su padre Biancu”, il Cao visse tra i resti dell’abbazia cistercense di Paulis e fu testimone delle distruzioni e dei tentativi di restauro che vennero inflitti al monumento nel XX secolo.
Pietro Cao nacque a Cagliari nel 1900, conseguì nel 1927 a Firenze la Laurea in Belle Lettere, frequentò alcuni corsi del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, insegnò nelle scuole secondarie in Toscana e in Sardegna. Attorno al 1930 inizia il suo vagabondaggio cercando i resti e le rovine di ruderi di edifici religiosi: fu attratto dall’abbazia di Paulis, dove rimase sino alla tragica morte, avvenuta nel settembre del 1958 per mano di un suo attendente che abitava con lui nell’antico cenobio. A Paulis restaurò la chiesa in vista di un probabile ritorno dei monaci benedettini, e con l’aiuto di alcuni contadini di Uri ed Ittiri cominciò a ripulire le strutture murarie e gli elevati dell’intero complesso.

Bibliografia
G. Altea, M. Magnani, Storia dell’Arte in Sardegna. Pittura e Scultura dal 1930 al 1960, Nuoro, 2000
G. Biddau, Su alcuni documenti dell’Archivio di Piero Cao, in «Coracensis», 1994
G. Sechi, Uri e la sua storia, s.d.; s. l.
Uri, La storia, in Coolturistika: cinque paesi un territorio unico, Progetto ANCI 2011
G. Vulpes, I signori del feudo d’Ittiri e Uri, Sassari, 1999
G. Vulpes, Don Vincenzo Serra e la rivolta antifeudale ittirese, Sassari, 2008
G. Zanetti, I Cistercensi in Sardegna: le abbazie di S. Maria di Corte, di Paulis, e di Coros, in «Archivio storico sardo di Sassari», 1976 Vol. 2 (2)

Credits
A. Nasone, G. Ruggiu, S. A. Tedde

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