Semestene

Prete Muroni, parroco di Semestene e gli angioyani bonorvesi

Centro di antico insediamento, sviluppatosi lungo la valle attraversata dal fiume de Sa ‘orta de sa cariasa, è attestato anch’esso nel citato condaghe di Trullas e, come Bonorva, subì le medesime vicende storico-istituzionali successive alla disgregazione del giudicato di Torres. Entrò in età moderna a far parte del marchesato di Villarios.

La chiesa di Santa Croce rappresentò l’epicentro attorno al quale si sviluppò questa villa nel medioevo. Nella prima età moderna venne costruita la chiesa dedicata a San Giorgio, oggi chiesa parrocchiale, in stile tardo-gotico dall’elegante facciata di calcare chiaro.

È interessante notare come il piccolo centro sia ancora oggi suddiviso in otto distinti rioni: Cantarajana, Funtana, Piatta ’e cheja, Mulalza, Santa Rughe, Donnigaza, Murroccu e Sa cudina. Da rilevare la presenza nel territorio di alcune fonti, celebri nel passato rurale del paese ma che ancora oggi sono ricche d’acqua (Murroccu, Donnigaza e Sa funtana manna, con il lavatoio comunale realizzato agli inizi del Novecento). Si segnala infine un “memento angioyano” rappresentato da un recente mosaico che evoca il passaggio dell’Alternos nel paese, collocato in via Garibaldi, non lontano dal municipio.

personaggi storici

Prete Muroni, parroco di Semestene e gli angioyani bonorvesi

Di quel ceto variegato (ecclesiastici, piccola nobiltà di paese, borghesi di città, pastori proprietari), che sarà il nerbo del nucleo dirigente della Sarda Rivoluzione, che vide in Angioy l’uomo fidato a cui far presente interessi di varia natura, ebbero un ruolo importante i fratelli Muroni di Bonorva. Esponenti di un ceto pastorale che era riuscito a ritagliarsi uno spazio riuscendo ad avviare agli studi universitari i figli, i Muroni capirono che il freno al dispiegamento delle energie che fluivano nella realtà che vivevano aveva un nome solo: feudalesimo. L’alto numero di bonorvesi implicato nei moti rivoluzionari sardi ci dà una precisa stima della capacità di coagulazione che questi punti saldi nel territorio potevano esibire. Giovanni Carboni, Antonio e Gavino Cau, Antonio Maria Cossu, Baingio Cossu Gasamo, Antonio Cossu Marra, Antonio Frau, Pietro Manunta, Bachisio Morittu Mura,  Bachisio Pintus, Giuseppe Piu Cossu, Salvatore Sanna, Pasquale Santucciu, Battista Giovanni Sassu, , Angelo, Antonio, Francesco, Giovanni e Sebastiano Sassu, Francesco Uras e Pasquale Zanzu, oltre i fratelli Muroni, furono i bonorvesi inquisiti e sotto processo sulla base delle risultanze trasmesse alla Segreteria di Stato di Cagliari dalla Delegazione viceregia di Sassari dopo la fine del sogno angioyano nel 1796.

Un numero altissimo, tra i quali possiamo identificare la punta di diamante nel teologo Francesco Muroni, parroco di Semestene.

Finito sotto la lente dell’arcivescovo di Sassari Della Torre, per la sua non celata propaganda antifeudale e per l’essere Semestene una stazione obbligata per i partigiani del movimento angioyano, il Muroni seguì l’alternos fino alle estreme conseguenze. Scoprì amaramente che la repressione del Valentino faceva sentire già pesantemente i suoi effetti.

Dedicatosi a liberare Gavino Fadda e altri angioyani prigionieri in città e sperando in una sollevazione dei sassaresi, fu respinto a Scala di Giocca e costretto alla fuga. Con alcuni bonesi, tra il 7 e l’8 ottobre 1796, si diresse nella sua Bonorva, che credeva porto sicuro, per reclutare quanta più gente possibile per una nuova impresa.

Il colmo per un irriducibile come lui fu quello di non riconoscere più la sua patria, caduta in mano ai nemici, i Prunas, e preso dalle lacrime e dallo sconforto, il Muroni si diede alla macchia tra i salti del Marghine e del Montiferru, ma venne tradito da un tale Dore di Sindia, che credeva amico, e cadde nella rete dell’autorità giudiziaria.

Incatenato, attraversò le strade della città ricoperto di sputi e ingiurie. Introdotto nelle carceri di San Leonardo ebbe una sorte straziante. Per rispondere a queste accuse infamanti scrisse, nel gennaio del 1808, un promemoria inviato all’arcivescovo di Alghero che aveva come destinatario il Re e in cui, narrando le vicende di cui fu protagonista, intendeva giustificare il suo operato per ottenere la libertà. Quell’anno, infatti, nonostante la generale amnistia concessa dall’arrivo dei Savoia a Cagliari, si trovava ancora detenuto. Morì due anni dopo nel convento di San Pietro di Silki a Sassari.

Bibliografia
P. ATZORI, Sassari. Il Carmine vecchio. Per un giardino che racconti 4 secoli di storia, Roma 2021, pp. 136-141.
L. BERLINGUER, Alcuni documenti sul moto antifeudale sardo, Cagliari 1962, pp. 31-32.
L. CARTA (a cura di), L’attività degli Stamenti nella «Sarda Rivoluzione» (1793-1799) in Acta Curiarum Regni Sardiniae, vol. 24, Cagliari 2000, pag. 2336.
P. CUCCURU, Francesco Muroni e il problema dell’eversione feudale, in Quaderni della Biblioteca comunale, 1, Sassari 1983, pp. 39-53
A. NASONE, S. A. TEDDE, In sos logos de Angioy. Lungo le strade della Sarda Rivoluzione: testi e documenti, Sassari : EDES, 2021

Credits
A. NASONE, S. A. TEDDE

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